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Il calcio ai tempi degli influencer: L'evoluzione dello stile da Conte a Chivu e Fabregas
Francesco Pullella
December 5, 2025

Antonio Conte è uno degli allenatori di più successo del panorama calcistico contemporaneo, per dimostrarlo si potrebbe citare il suo palmarès o allegare una foto di una qualsiasi via del centro storico di Napoli perché, si sà, lì se vinci verrai ricordato in eterno. Menzionare solo le sue vittorie sportive però sarebbe di fatto riduttivo. Bisognerebbe quantomeno far notare che è attualmente l'unico allenatore ad essere stato ospite al programma “Belve” oppure ricordare una delle sue tante frasi in interviste o conferenze stampa diventate celebri e subito dopo diventate dei meme nel meraviglioso mondo dei social (basti pensare al “sono antipatico perché vinco? non è un problema mio”). Tutto questo per evidenziare come, oltre ad essere un coach, Conte è ormai un'icona pop del nostro paese. 

Dal punto di vista comunicativo l'attuale mister del Napoli si è quasi sempre dimostrato valido, soprattutto nella gestione dei momenti di tensione. Durante la stagione passata, che lo ha visto trionfare in Serie A, è stata efficace la sua tattica del concentrare tutta la pressione delle competizioni disputate sulla sua figura. Come ricordato spesso da Giuseppe Pastore nei vari programmi prodotti da Cronache di Spogliatoio, l'anno scorso dal punto di vista mediatico la figura di Conte spesso si sostituiva addirittura alla squadra in sé, e le vittorie o sconfitte del Napoli erano vittorie o sconfitte di Conte. Chiaro però che questa strategia funziona fino a quando i risultati seguono un trend positivo, quando questa tendenza alla vittoria comincia a vacillare, come in alcuni sprazzi dell'attuale stagione calcistica (specialmente in Champions League), l'efficacia della sua comunicazione comincia ad esser messa in dubbio. Proprio in merito a ciò, nella puntata del podcast L'ascia raddoppia andata in onda il 7 Novembre Andrea Marinozzi, telecronista e opinionista sportivo tra i più amati d’Italia, ha dichiarato:

“Conte in campo è un allenatore che si è clamorosamente evoluto negli anni [...] adesso, a mio parere deve cambiare anche la comunicazione perché non credo sia più efficace [...] nel 2025 non funziona più, adesso si comunica in maniera diversa, molto più diretta. La comunicazione di oggi è quella di Chivu”

Ed ecco che si va a delineare un confronto non solo calcistico ma anche stilistico e comunicativo tra l'allenatore del Napoli e l'allenatore dell'Inter. Marinozzi vede quest'ultimo come un esempio di comunicazione moderna ed evoluta, perché basata più su ciò che succede in campo, sullo sport in sé. In realtà è probabile che la bravura di Chivu, e il suo essere apprezzato da molti, non derivi solo da questo ma anche da alcune tecniche legate al modo di parlare e ai termini utilizzati. Una di queste è il frequente utilizzo della prima persona plurale, non solo per riferirsi alla sua squadra o alla sua società ma anche per “forzare” il suo inserimento in gruppi che generalmente non comprendono gli allenatori. Al fine di spiegare meglio il concetto, ecco quanto dichiarato da Chivu nella conferenza stampa post Juventus-Inter del 13 settembre:

“Smettiamo di fare polemiche, andare sempre a mettere i bastoni tra le ruote non fa mai bene a nessuno, non fa mai bene al mondo del calcio, non fa bene a niente. Iniziamo a parlare solo di quello che abbiamo visto.”

Aver scelto questo tipo di verbi (smettiamo, iniziamo) accorcia le distanze tra chi fa le domande, quindi il mondo dei giornalisti ed opinionisti sportivi, e chi risponde, l'allenatore dell’Inter, contribuendo a dare un'inedita sensazione di vicinanza tra questi due mondi che da sempre vengono percepiti come molto distanti.

Questa scelta di termini somiglia per intento e finalità alla scelta di Cesc Fabregas, allenatore del Como, che non a caso viene considerato da molti come l'emblema dell'allenatore moderno, di presenziare come ospite ad una puntata di Sky Calcio Club a Maggio. Durante la puntata il mister dialoga con i giornalisti seduti attorno ad un tavolo insieme a lui, risponde alle domande e lui stesso pone degli interrogativi e fornisce spunti di riflessione. In quel momento lo spettatore non vede degli opinionisti che intervistano un allenatore ma semplicemente degli esperti di calcio che discutono su temi inerenti alla loro occupazione. Queste, che in prima battuta possono sembrare decisioni di poco conto, in realtà contribuiscono in modo sostanziale ad alimentare una narrazione mediatica che vede le figure di Chivu e Fabregas come estremamente positive, a volte anche al di là delle prestazioni e dei risultati delle squadre da loro allenate. Questo perché ad oggi, se sei un personaggio pubblico, qualunque sia la tua occupazione non puoi prescindere dal costruirti un'immagine mediatica adeguata e apprezzabile. 

Al netto di ciò bisogna comunque sottolineare che se questi 2 “personaggi” non fossero anche degli ottimi allenatori di campo difficilmente riuscirebbero ad essere ben visti da opinionisti e tifosi. Questo perché non bisogna mai correre il rischio di diventare ciò che sembri a discapito di ciò che sei. Anche in una società come la nostra, fondata inequivocabilmente sull'immagine, bisogna mantenere un equilibrio. Riuscire quindi, se si è un allenatore, a coadiuvare efficacia comunicativa e prestazioni sportive. 

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