

Pasolini e la televisione
Una profezia sul consumo e l’omologazione culturale
Pier Paolo Pasolini, nella sua raccolta di articoli Scritti corsari, si sofferma in più punti su quella che lui definisce una “rivoluzione del sistema d’informazione”, in particolare attraverso la televisione.
Lungi dall’essere uno strumento neutro, la TV diventa per Pasolini un mezzo di potere capace di
imporre nuovi modelli sociali e culturali, distruggendo le identità locali e l’autenticità delle culture
originarie italiane. Scrive infatti:
“Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l'intero paese, che era così storicamente
differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un'opera di omologazione distruttrice di ogni
autenticità e concretezza.”
(Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari)
Il “Centro”, in questo caso, rappresenta l’apparato economico-industriale che domina
l’informazione, orientando i gusti, i desideri e i comportamenti degli individui verso un’unica
direzione: quella del consumo. Pasolini denuncia come la televisione abbia trasformato l’italiano
medio in un consumatore passivo, spingendolo verso un “edonismo neolaico” privo di valori
umanistici e di spirito critico.
A suo avviso, questa trasformazione è accettata con entusiasmo dalla popolazione italiana, illusa
dalla promessa di benessere, ma incapace di realizzare pienamente il modello imposto. Così, si
genera frustrazione e ansia, una condizione psicologica collettiva che Pasolini coglie con
incredibile lucidità e anticipo rispetto al tempo:
“Lo hanno accettato: ma sono davvero in grado di realizzarlo? No. O lo realizzano materialmente
solo in parte, diventandone la caricatura, o non riescono a realizzarlo che in misura così minima da
diventarne vittime. Frustrazione o addirittura ansia nevrotica sono ormai stati d'animo collettivi.”
(Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari)
Queste parole, scritte negli anni '70, suonano oggi estremamente attuali. Se un tempo la
televisione era il veicolo principale dell’omologazione, oggi il ruolo è assunto dai social network, in
cui l’apparenza, l’influencerismo e la logica algoritmica producono una versione ancora più
pervasiva del modello di consumo. La frustrazione che Pasolini aveva identificato allora è la stessa
che molti giovani oggi vivono nel confronto con i social media, con standard di vita, bellezza e
successo irraggiungibili.
Pasolini è stato un intellettuale scomodo, lucido e visionario, troppo spesso trascurato nel dibattito
pubblico italiano. La recente menzione della sua figura nel podcast Pulp di Fedez e Mr. Marra ha
contribuito a riaccendere l’interesse per la sua opera, soprattutto presso le nuove generazioni.
Tuttavia, ancora oggi la sua morte resta avvolta nel mistero, come se l’Italia non fosse pronta a
fare davvero i conti con la forza eversiva del suo pensiero.
Il confronto tra la visione pasoliniana e quella di Silvio Berlusconi – figura centrale nella
trasformazione della televisione italiana in senso commerciale – è emblematico. Berlusconi,
parlando delle sue reti private, dice:
“Non è stato facile, e non è facile, credetemi, fare una televisione. [...] Diciamo che è un bambino
piccolo, che avrà tutte le nostre cure per diventare grande nel modo migliore.”
(Silvio Berlusconi, intervista sulla nascita di Mediaset)
In queste parole, si coglie una visione imprenditoriale e paternalistica della televisione, intesa
come “bambino da crescere”, ma orientato a diventare uno strumento di profitto e fidelizzazione
dell’audience. È il perfetto opposto del concetto di cultura libera, plurale e critica che Pasolini
avrebbe voluto preservare.
Pier Paolo Pasolini aveva previsto la deriva della società dell’informazione: dall’omologazione
culturale causata dalla televisione all’ansia da prestazione indotta oggi dai social media. La sua
denuncia rimane più attuale che mai. La vera sfida, oggi, è rendere nuovamente attivo il pensiero
critico e restituire centralità all’uomo come soggetto pensante, non solo consumatore.
Per contrastare la visione consumistica e standardizzata della realtà, non basta spegnere lo
schermo. Serve un’educazione ai media, alla cultura, al dubbio. Solo così le parole di Pasolini non
resteranno intrappolate nei telefoni o nelle televisioni, ma torneranno a vivere nella coscienza
collettiva.